Oggi la discussione sull’eguaglianza di accesso ai servizi sanitari non
può prescindere dal tema del regionalismo differenziato. L’articolo
116 terzo comma Costituzione prevede che la legge ordinaria
possa attribuire alle regioni ulteriori forme e condizioni particolari di
autonomia sulla base dell’intesa fra lo Stato e la regione interessata.
La disposizione costituzionale circoscrive gli ambiti materiali su cui
sono attivabili le “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”
ovvero tutte le materie di potestà legislativa concorrente e alcune
materie di legislazione esclusiva statale.
Il che vuol dire che la materia del regionalismo differenziato può
incidere, in materia salute, oltre che sull’organizzazione, su lavoro e
formazione in sanità, su ricerca in sanità, su finanziamento in sanità
e su previdenza complementare. Una vera rivoluzione copernicana.
Se la riflessione sul regionalismo differenziato servirà a lanciare
una nuova stagione di riforme, che affronti integralmente gli
aspetti critici sottolineati ed enucleati nelle richieste di autonomia
avanzate dalle regioni, ben venga. Probabilmente, ha poco senso
affrontare in maniera settoriale il riparto del fondo, con un sistema
di finanziamento fermo, sostanzialmente, ad una normativa di 20
anni fa.
E forse ha ormai poco senso affrontare una tornata contrattuale dei
medici o della medicina convenzionata senza stabilire dove tutto il
sistema deve andare, perché trattasi di tematiche interdipendenti
che non possono essere affrontate in maniera parcellizzata. Idem
per la programmazione universitaria delle scuole di formazione o
per gli ordinamenti universitari o per la ricerca.
L’auspicio è, pertanto, l’avvio di una riflessione integrale del sistema,
con adeguati strumenti normativi, non escluso quello di una legge
delega, con il cittadino e il professionista al centro.